Ecce Scriba!

«Provate a svegliarvi un mattino così pieni di sacra e salutare energia cosmica da sentire il plesso solare come un enorme mantice creativo colmo di ogni gioia e di parole da donare con profusione al genere umano.»
Provate a sedervi al computer e metter in parole questa fusione di gioia creatrice e forza innovatrice. Provate a guardare la tastiera senza la minima idea di come muovere le dita e sbloccare la paralisi mentale che ha totalmente azzerato ogni possibile pensiero compiuto, che ha cancellato anche l’idea stessa di sillaba.
«Sempre più spesso cominciavo senza neppure tentare di terminare decine di racconti, semplici abbozzi di poche righe o addirittura brevi catene di sillabe cui avrebbe dovuto seguire, come un sacro rosario, il grande capolavoro; il fulmineo e innovativo e inarrestabile, per non dire virale, racconto moderno che avrebbe mutato per sempre premesse e canoni della scrittura classica e creativa, un vero colpo di genio che avrebbe proiettato questo sconosciuto vettore umano nell'olimpo della letteratura.

Sarei stato definito cubista della parola e il mio autentico talento esplosivo avrebbe unito ed esaltato la critica dell’intero globo terracqueo – ECCE SCRIBA –, ecco dunque un essere superiore che si rivelava finalmente al mondo come nuovo e autentico messia della narrativa seppur celato sotto l’ampio e discreto compasso di vari pseudonimi e acronimi circolari.»

Tutto questo incessante iperbolico capolavoro di megalomania si compiva in un angolo segreto della mia modesta e minuta scatola cranica. Un angolo acuto e scuro ma in pieno fermento nel quale pensieri larva mutavano in osceni centopiedi striscianti.

Ogni tentativo approdava della desolazione più salata di un piatto troppo grasso e in un bicchiere in più di quanto basti a mettere a tacere la delusione più bruciante e l’umiliazione più intima: essere incapaci di essere alterezza di sé stessi.

Non c’era proprio verso, che io cambiassi stile che miscelassi o imitassi, che mi astenessi da ogni stile e qualunque narrazione seguendo soltanto il mantra di parole bisbigliate al grande timpano del mio super-io – alle porte oscure dell’inconscio o del delirio alcolico sciamanico – il blocco era manifesto anche nella difficoltà a digitare sulla tastiera e nella pronunciata dislessia tipografica.L’unica soluzione era il veleno, sì, l’ingestione di un rimedio definitivo! Il Grande Sblocco sarebbe giunto per via orale, lì dove le sillabe si erano intoppate, raggrumate in vocali mute e sillabe decomposte. Era giunto il momento di uccidere la paura, di cancellare l'horror vacui. Finalmente la risoluzione era presa! Sì, mi sarei avvelenato con qualche nobile intruglio, un composto di grande dignità, un intruglio che avesse nobili precedenti. Cicuta! Certamente cicuta, sì! Un grande infuso per un grande Uomo, ecco un finale filosoficamente accettabile.

Avrei scritto le mie ultime parole in preda al delirio, avrei dettato con la mia viva voce di morituro un epico finale. Già vedevo l’eroica figura del paladino del racconto breve assurta all'Olimpo delle divinità editoriali, il mio nome – assunto nell'altro dei cieli – avrebbe brillato illuminando l’impervio cammino degli scrittori smarriti nell'oscura selva.
Ecco giunto il grande giorno che ho approntato con cura estrema e trepidazione massima. Eccomi qui, paludato nella setosa veste da camera di mio padre, ai piedi sobrie pantofole dagli arabeschi ramati. Sono sobriamente reclinato sull'agrippina comprata dall'antiquario all'angolo che mai pagherò.

Sorrido mentre mi guardo allo specchio.
Sollevo la pesante coppa.
Mi guardo ancora. In effetti faccio la mia figura.
Non troppo bello per morire, ma quasi.
Sorrido al mio riflesso.
Specchio, oh, oh specchio delle mie trame, qual è dunque il finale?".

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