Viaggio al centro della Notte
La notte è il mio territorio. Lo è sempre stato. La zona d’ombra dentro me che confina col buio nel quale brillano le stelle. Là, dove altri esseri insonni cercano conforto da sé stessi, dall’ incessante farneticazione della mente.
Quel luogo del tempo dove fornai e
operai del turno di notte vorrebbero dormire, lasciarsi andare al sonno senza
sogno.
Lì, nell’interregno, si respira
un’aria silenziosa rotta soltanto dal rombo di qualche auto diretta chissà dove
e dagli autobus nei quali viaggiano gli operai della notte. Un mondo sospeso
tra ieri e domani. In attesa della luce, del sincopato cinguettio degli uccelli
che si parlano, che si cercano e si amano per brevi momenti.
La notte è un teatro di posa dove fotogrammi
dalla grana grigia d’immagini sfocate prendono vita, si s’inseguono e si
scontrano senza soluzione di continuità; stridendo si accavallano e svaniscono.
Gli abitanti del buio sono tanti; gli
adoratori di lune cangianti, gli eredi di stelle pulsanti, hanno in comune sommesse
movenze sottomarine e quando i loro sguardi s’incontrano si sfaldano in sorrisi
forzati. Ma la somiglianza tra noi termina lì. I confini sono netti. Le caste, severe.
Gli insonni sono figli del destino. Non hanno scelto, non hanno scelta, non è per denaro né per amore. Poiché subiscono un supplizio, si credono gli eletti. I prescelti offerti in sacrificio al dio della notte.
Io sono uno di loro.
A occhi aperti sogniamo d’abitare
un mondo rovescio, immaginandoci eroici guardiani dediti a vegliare sul mondo
nel ripetersi dell’apparente morte dell’umanità. Sciamani, monaci, scriba.
Pazzi.
Viviamo prigionieri di un altro io,
di quel gemello solitario che all’alba si dissolve come nebbia. Nelle lunghe
veglie pensiamo spesso ai nostri pari, ma un codice non scritto vieta di
comunicare tra noi. Sarebbe un sottrarsi, un venir meno a noi stessi e
all’integrità della solitudine profonda.
Perché le nostre notti ci appartengono
come i demòni all’inferno.
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