Fatto è che quelle lì sono ormine, mica dubbi. Sbaglio mai sulle ormine, io. Quelle sono zampette, eh sì, sissì. Fatto è che non spazzo damesi, le orme sono chiare come in ombre rosse. Ognimmodo le zampine vanno dalpunto A al punto B, che le ho chiamate così Secondo me c’è un cazzo ditopo da ‘ste bande, un zombie topo datochesembrano proprio le zampine del topolemming, il triste. (Quello che ha fatto tipo Icaro senza il sole e la cera e le piume del cazzo, insomma, perché era spasticato e invidiava Pipistrello ubriaco, eh.) Che ci volevo fare un poema rock ispirato a comesichiama quello coi mulini a ventola e il ciccione culo sull'asino che segue dappertutto? Boh, vabbe’. Torniamo a noi. E qui per chi non ha letto i miei diari sono cazzi suoi, perché parlo del caso di Topo Triste e Pipistrello Ubriaco. Un classico, tipo Conad Loid. Oggi sono in mezzo alla spasticanza del centro coattivo, a un certo punto ti vedo un paio di mongolivestiti a festa appena usci
Lo chiamarono così perché fu la prima parola che disse. "Scifone" per l'esattezza. Aveva già tre anni e tutti pensavano fosse ritardato. Ma ci aveva i suoi tempi, Sifone. Mica potevi mettergli fretta a quel topo là. Un bel tipo, lui, soprattutto quando crebbe un pochino, il Sifone. A nove anni era piccolino e segaligno, ma svelto come un demonio. Altroché fallato, era tutto d'un pezzo quel birichino. Arrivava all'improvviso e aveva sempre qualche graffio e le mani sporche di nero. Sifone. Sifone spuntava dal nulla. E poi era già li che parlava a segno, sparando raffiche di vocali e di consonanti, qualunque fosse l'argomento del dibattito. E a scuola faceva uguale. La maestra non lo trovava mai quando in classe lo cercava con lo sguardo. Allora lo chiamava strillando secca - Rispondi Sifone! E lui - Mi dica, signora maestra! Rispondeva lui puntuale e tranquillo dal suo posto. Sifone era un
E questa meravigliosa malinconia da Jaguarmatic e Tigermatic che come una nebbia struggente mi assedia ora, come allora avvolgeva fredda e bagnata i Giardini Margherita e la Fossa Cavallina con i suoi grandi e scricchiolanti e misteriosi capanni delle colonie estive e la piscina colma delle foglie morte di quella stagione che fu l’ultima, l’ultima in cui corremmo davvero liberi noi tutti, Andrea e Luca, io e Vittorio, Pilli e Curi ed Eraldo; lui che sulle lunghe gambe ossute ci superava tutti correndo come il grande Lewis, lui che come noi era inseguito da un omarino grosso e rubizzo che ci aveva spiati in modo losco e allora gli avevamo gridato “busone!” per poi scagliargli addosso una veloce e spietata raffica di pigne, e lui, mi pare ancora di vederlo, Eraldo detto Ciccio o il Negro, col suo "bulbo" africano spinto all'indietro dal vento, alto e magro e ricciuto nella dolce assolata estate precedente a che tutto accadesse. E Andrea col suo improbabile pellicciotto bea
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