A Little Tribute for Bill



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Siede solo a un tavolo d’angolo in un pub situato all’estrema periferia della città, davanti a sé il primo Martini che si concede da quando è successo il fatto.
Luce bruciaocchi sbianca ostile dal cielo a grumi su di lui, sulla città, sparata fuori piatta e asciutta. Nada ombre.
Unico riparo il portico di fronte dove i suoi occhi la inquadrarono, aggrappati al movimento gentile del corpo, all’ondeggiare morbido della gonna.
“Conosce il gioco dello chignon… fascino sobrio… capelli raccolti e fermati da una molletta… semplice… qualche ciocca sfugge ingenua sul viso un po’ sudato, sembra un’allieva che abbia appena terminato la sua lezione di danza… vale la vita di un uomo”
Los Angeles ai primi del ’50 sfreccia nella memoria come lampo bruciante d’alcoliche notti al neon: sono loro tre, sempre loro tre, siedono al tavolino come ogni pomeriggio. Lenti movimenti sottomarini svuotano i bicchieri e chiamano l’uomo per un altro giro. Discorsi circolari. Rapide occhiate passanti fottono ogni donna nei paraggi. Sorrisi.
         Me ne porti un altro, prego. Molto secco 
         Subito signore 
         Molto secco, grazie
“ Quanto tempo è passato da quando… quen sabe? Mai più visti, neppure una volta. Fottuti anche loro. Mai più né visti né sentiti… me ne sbatto. Ma che gli avrà preso? …dispersi in un mare di niente di fica… Guarda se quello stronzo mi porta il drink… anche lui se ne fotte. Bastardo, POTEVI FARE SOLO IL MALEDETTO CAMERIERE
         Me ne porti un altro, prego. Molto secco.
         Subito signore.
         Molto secco, grazie. E un po’ di olive.
“Guarda guarda come arriva svelto, ha capito… finalmente ha capito che è solo un maledetto animale… che altrimenti gli apro la pancia… gli è arrivato al cervello. HO ABBASTANZA SOLDI PER LULTIMO DRINK?” – Quanto le devo?
         Ecco lo scontrino…
         Fottimadre…
Si alza malfermo, è un uomo cambiato. Non doveva bere, non era davvero il caso. Non è da lui essere così volgare; mai quando è sobrio. La strada è dipinta da Van Gogh, tipicamente sferica e malata. Corti tratti di colore arancio accompagnano l’inizio del nuovo viaggio di Scott verso l’ultimo crepuscolo. 

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Dopo la telefonata il tempo sembra sospeso, equilibrismo da circo.
Scatta un flash – non si possono fare foto dannato deficiente, lo farai cadere! – sono in vendita all’uscita, signore, solo due cent… – MA STIAMO PARLANDO DEL DANNATO TEMPO impostore da baraccone, qui stiamo parlando del tempo! Non riuscirai a incantarmi anche stavolta… mi ritrovo già quello stupido tatuaggio a ricordarmi del tuo “marinaio” e della taverna della scimmia!
Compartimentazione è la parola d’ordine, il gioco si chiama CACCIA ALLA FICA… sono maestri nelle tecniche di depistaggio e mistificazione. La domanda è CHI?. Bill, ovviamente, e incollati al foto-finish Jan e Scott.
Il gioco non cambia mai. L’unica opportunità per sfuggire alla caccia è «non essere in casa». Inizia tutto con una monetina da un cent e la voce spirale e finocchia di Jan che dice «Ciao, sono io, Jan…» Impossibile resistere.
L’immagine di Scott è presa in prestito dal jet-set Hollywoodiano anni ’30. Lui essere Grande Gatsby… noblesse oblige, cultura europea di saccheggio per giovani succhiatrici. «AVEC PLASIR, MADEMOISELLE», avanti il prossimo.
Jan posa da finocchio ma è il più perseverante scopatore di fica assieme a John F. Kennedy. È in costante sbattimento… schizzata una, «mia cara», è di nuovo in cerca della DOSE SUCCESSIVA.
Bill. Bill è semplicemente immune. Refrattario. Pensa e agisce da ricercatore. Sciamano, chimico e amorale, annota, registra, fotografa. Uomini, donne, e sesso sono parte dei reperti. «LA RISPOSTA» È LA SUA PREDA.

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Jan l’ha agganciata per bene, più si divincola e più a fondo l’amo la penetra. È un classico che non manca mai di stupire. Gli è venuto duro prima ancora di posare la cornetta sulla forcella. Nel cervello gli risuona l’eco promettente dell’arrendevole voce. Inutile ogni scusa, ormai ce l’ha già dentro… più si muove più a fondo lo fa godere.
   Allora? Fatta? Via Jan… non lasciarci in sospeso, dacci una ragionevole certezza che questa sarà un’altra serata succhia-succhia.

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   Fottimadre! … te ne se stai seduto con
l’aria “ essere Grande Gatsby”, dannato finocchio scopatore malriuscito.
   Checcazzo stai dicendo, ti senti così tanto Kennedy, col tuo ciuffo … capelli imbalsamati … sei buono per donnette non lubrificate,
mogli cornute …
–    CHECCAZZO?
     'Basta, idioti! Non è il momento di cazzeggiare… dobbiamo analizzare la scena nei dettagli.
    ANALIZZARE
   Hai ancora il coraggio di fare lo stronzo, eh. Ma lo vedi cosa c’è ai tuoi piedi? …o sei troppo fatto maledetto coglione. Non ti rendi davvero conto, non hai più un briciolo di buon senso… siamo fregati!
     FREGATI
    T’ammazzo, altro che camera a gas… ti stacco la testa e ti cago nel collo!
   Ma cos’avete? Un fottuto tumore al cervello? Sangue, urla, insulti, sputi… cos’altro volete ancora? I vicini non ci hanno sentiti bene? Oppure è paura? … state aiutando il boia… Questa è un’occasione unica, non capite? Fanculo, vado via. By by succhiasucchia…
  SUCCHIASUCCHIA… bye-bye? Ne pas possible… dai, Bill, trova un modo. Dannazione, sei il più brillante di noi. INGEGNOSO… – Ok, Bill, dicci come uscirne… quale cazzo di opportunità ci vedi in questa…merda di pasticcio. Io, io, non so neanche checcazzo è successo. Sangue e budella sporche di merda… ma siamo pazzi? Chi ha fatto ‘sto macello?
   Tu, saggio Bill? Cos’è, un nuovo antinoia? Ci stai osservando e prendi appunti aguzzi con quella tua mente da squalo, Bill? Mi senti, Biil? E tu, Jan, checcazzo ti ripeti tutto quello che diciamo? Non sei fatto non come vuoi darcela a bere…
    A BERE… hei, Scott, calma. Calma. Calma checcazzo. Neanche tu sei così smarrito come sembri, mi ci gioco il pisellino e una vita di fotti fotti…Magari sei stato proprio tu, perché non ti tirava più il volatile… ah ah ah ahahah ah!
  Bill, che cazzo dice, hei … stiamo calmi. Non ho fatto un cazzo io, claro hombre? Bill? – D’accordo, ora vi dico cosa facciamo, ragazzi.
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Nessuno si è accorto di niente, niente è stato visto, dato che nessuno ha fatto niente. NIENTE DI NIENTE. Davvero. I tre old boys sono già morti. Camminano, questo è vero. Per adesso camminano ancora. Ci vorrà un po’ forse. Be’, io del resto non fretta. Neanche un briciolo. O si dice “una briciola”?
Comunque si dica non ho fretta, anzi è un’ot-
tima cosa avere tutto il tempo disponibile. Si depista meglio. C’è qualcosa di meglio di un depistaggio ben fatto? No, credetemi. È la cosa migliore, un buon vecchio depistaggio. Così vero da sembrare finto e creare il dubbio, certo dev’essere dosato bene… Come un buon drink. Certo, basta non perdersi nelle proprie piste false, e il gioco è fatto. Anche se, a dir la verità, a volte se ci si perde tutto è perfetto, tutto diventa vero, infalsificabile, sacro e supremo come la mente di dio stesso. Eppure di là c’è il classico lago di sangue.
Già, proprio un lago. Ormai sarà vischioso e leggermente opaco. Colpa della coagulazione. Be’, del resto altre volte è una cosa davvero utile. La vedo ancora davanti agli occhi. Lei è aperta, si muove piano…come se avesse le pile scariche. L’ho aperta. Completamente offerta, totalmente accettata. È stato bello quando aveva paura, più bello di quando ha avuto male. Certo, anche il dolore ha il suo fascino. Peccato che per un po’ di tempo mi mancherà, però non ho potuto resistere. È stata un’opportunità unica. Non potevo rifiutare. Non si rifiutano certe cose. Neanche per sogno. Come il sesso. Del buon sesso non si rifiuta mai. È così raro, del resto. Non capisco come mai così poche persone sappiano lasciarsi andare, lasciarsi scoprire. Io mi apro volentieri, non sono una persona molto inibita. Almeno credo.
Be’, speriamo che si muovano, di là. Non vedo l’ora di farmi un buon bagno caldo e ripassare tutto nella memoria. Fotogramma per fotogramma nel cervello, ogni supplica nelle orecchie come una lingua calda.
Speriamo che decidano in fretta. 
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Dopo che sono usciti tutti c’è un’atmosfera strana. Assenza. Manca l’essenziale. La scena è ripresa dall’alto e scorre lentamente. Un fiume. Mille particolari, una melma. Ci si potrebbe soffermare su ogni cosa e fare un close-up, fino al macro. Scomporre ogni cosa, ingrandendola sempre di più. Lì puoi vedere piatto il cuscino usato da Jan per adagiarsi volutamente debosciato. Un atteggiamento. Là, sulla destra del televisore, ecco dove Bill immobilizzava il tempo. Comprimeva la tensione fino a farne una piccola palla, sempre più piccola, schiacciandola col dito ossuto, e farla implodere in uno sbuffo acre. Il tempo rinizia a scorrere scoreggiando e sussultando.
C’è puzza qui dentro. Odore di merda, di urina. Nell’aria l’eco strisciante delle ultime parole di Bill – filiamo – appena un sussurro. Da un po’ di tempo ha un brutto raschio in gola che non accenna a scomparire. Fuma, Bill, fuma. Lasciamo la stanza rossa dove l’abat-jour è caduta, filtriamo nella fredda luce del frigo aperto. Piatti piatti, incorporei osserviamola per l’ultima volta, splendida Lolita sventrata. Sembra un angelo tant’è pallida e bionda. Ci vorrebbe una poesia. Una voce intensa a spezzarla. Perché lei era bella. Così giovane e bella che non ha potuto capire, così morbida e leggera che il suo passo valeva la vita di uomo.

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È finito il tempo dei Martini, questo è il guaio principale di Jan. Si lambicca la testa con questa cosa spiacevole, che non riesce a spiegarsi del tutto, ma in qualche modo a che vedere con la fica. Già, la buona vecchia fica che piace tanto. E così di colpo, pensando alla fica si sente sollevato e senza problemi. Ha già scordato tutto. Allunga la mano a chiamare un altro Martini.
Scott inganna il tempo come inganna sempre tutti, con la sua fumata hollywoodiana, riconoscibile tra mille. La sigaretta si consuma piano, appena stretta dalle lunghe dita abbronzate. Sembra sempre appena tornato dalla Costa Azzurra, Scott, che si considera europeo ad honorem. Adorato dalle italiane e dalle francesi. Ottime scopate, non come le americane. Le raccomanda a tutti quelli con cui parla nei bar, come fosse l’ultimo ritrovato della medicina moderna. È così pazzo e inconsapevole del suo stato da sembrare eroico. Quando si guarda allo specchio s’aspetta di vedere il sorriso beffardo d’Errol Flynn, l’occhio ipnotico di Tyrone Power.
Bill li sta osservando. È immobile, seduto con le mani in grembo, gli occhi ombrati dalla tesa del cappello assorbono ogni cosa. Lo nutrono silenziosamente. Per Bill una gran massa di dati in arrivo è come una dose per un drogato. I neuroni sfrigolano impazziti, ozono attorno a lui come un’aura elettrica, mentre il sangue pulsa nella punta del pene. Quello che vede e quello che pensa sono in grave conflitto. Dovrà dire una parolina ai ragazzi e fargli il trattamento, questo è certo.

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La voce consumata strascica sonnambuli ordini subliminali. Impossibile sottrarsi. Non alla tecnica più amata da Bill. Lui è l’unico in grado di ritrovare la pista nel tempo. Risalire alle ombre tracce cogliendo indizi e individuando collegamenti. Sarà un lavoro lungo e pericoloso, lo sanno tutti. Saranno utilizzate alcune droghe sacre, una tecnica mista, parte yage e peyote, che a volte provoca la morte o la demenza. Ma quando funziona… si crea un’emittente organica e lui, la ricevente telepatica, ha il controllo di tutto ciò che gli altri hanno registrato. Angolature, colori, odori, riflessi…ogni cosa.  Il magnetofono inciderà ogni farfugliamento, urlo, risata, domanda e risposta, regressione ipnotica, registrazione inconscia, memorie cancellate. Il bordo lungo il quale muoversi è tagliente, scarsa tolleranza agli sbagli. Il tempo può collassare senza preavviso. Un attimo prima sei lì, sbuf, acre ammonio e di te non resta altro che un fotogramma bruciato del film. Che Jan e Scott si siano prestati così di buon grado al suggerimento di Bill è lineare. Quella pancia aperta e puzzolente li ha fatti tornare bambini. Terrore cieco intestino rivoltante. Stupore e incapacità di comprendere, come polli di fattoria nella luce sbiadita dell’alba di campagna - ruvide mani rosse sangue strappanti testicoli - castrati senza spiegazioni.
Canti arabi si alzano dalle orecchie di Bill, ragazzi profumati e umidi dopo la sauna e il mirto gli sono offerti. Qualche volta li accetta nel ricercare la moglie, esile Joan un poco ossuta, morta per scommessa. 
Cantilene mulinano nell’umida paura del tempio, la casa di Bill, oggi. Tutto è pronto per il viaggio. Nebbie da palude, odore di yage, echi tombali ciechi, alghe seccate, mar morto.
Siedono a gambe incrociate, nudi attorno al tappeto nero. È ora di tornare indietro.
   Specchiatevi nel pozzo – sussurra Bill – specchiatevi nel pozzo, guardatevi nel nero pupille, forza ANIMALI, tuffatevi. 
Le sette anime s’attorcigliano spirali lubrificate: c’è orrore nell’aria. Troppa paura. Se non si muove qualcosa sarà tutto inutile. Bisogna forzare e svellere – decide Bill. Aggiunge la foto di una vacca sventrata, lanciata al centro del tappeto, è il gettone di presenza. Si aprono i giochi. Carte?
Nel fumoso bar di Tangeri dove, in preda all’abulia da morfina, passava intere giornate a fissarsi la punta di una scarpa, Bill alza gli occhi da full di Jack (in fondo ha sempre preferito i ragazzi) e sposta quelle biglie nere sui visi scuri e deturpati attorno. Il rilancio è alto, troppo per tutti, troppo da perdere. Bill estrae il fazzoletto soffia forte. Spore magic mushroom si spargono invisibili e garbate entrando subito in circolo attraverso i grossi nasi arcuati. Scala reale minima. Taglia l’aria secca il gesto di Bill, schioccano le carte. Scala reale minima. No chance, pardon petit pied noir. Al tavolo nessuno fiata fissando le carte e annuendo lentamente, increduli. Con gesto circolare e avvolgente Bill raccoglie il piatto voltandosi e alzandosi dalla sedia in un unico fluido movimento si tocca il cappello in segno di congedo ed è fuori sulla strada che scotta e mozza il fiato, invisibile si sposta lungo i colori stessi del suo vestito aderendo a muri e portoni e mercati come un camaleonte.
Jan è il primo a balbettare qualche stupidaggine, ridendo e sfregandosi gli occhi con una mano e la punta del pene l’altra.
  …bionda, carina baby succhia succhia… peccato, peccato non … Non mi ha fatto un pompino, vero? Non ricordo… cazzo, c’era tutta quella merda insanguinata… Hei, ci facciamo un drink? Avete fatto voi due il lavoraccio, tu vecchio Bill, eh?…sarebbe proprio da te aprire qualcuno così…per vederci meglio…ah, ahah, ahahah…prrzzss – – Jan, Jan… petit Jan, c’est que tu dis? Parli con la ragione, tu sei ancora qui…non avevo detto di andarti a fare un bel viaggio? Tieni, Jan, bevi un sorso di mescal…ti farà bene, forse non hai gradito il peyote… Tu, Scott, l’hai visto rigettare in qualche angolo? per caso? O l’ha sputato senza che vedessi… Scott! Scott…dimmi, Scott, c’è qualcosa che vuoi dire a OldBill? –
Scott morso da un serpente all’acido prussico non risponde. È troppo grande e colorato per essere vero…batte le palpebre, gocce cadono, tempo sospeso in equilibrio… Scatta un flash – non si possono fare foto dannato deficiente, lo farai cadere! – sono in vendita all’uscita, signore, solo due cent… – Si scuote, ora è girato verso la voce che gli ha parlato attraverso le squame del Grande Cobra. Apre la bocca in silenzio.
   Qui non stiamo parlando del tempo, Scott, dovresti saperlo bene…non siamo a Casablanca e tu non sei Bogart… in giro non c’è nessuna donna da scopare. O forse pensavi ad altro? Un cent per i tuoi pensieri, figliolo…– Solo due cent…solo due cent, sil vous plaiz
     MA STIAMO PARLANDO DEL DANNATO TEMPO impostore da baraccone, qui stiamo parlando del tempo! Non riuscirai a incantarmi anche stavolta… mi ritrovo già quello stupido tatuaggio a ricordarmi del tuo “marinaio” e della taverna della scimmia!
 Bill…Bill, no – balbetta e sputacchia – è tutto a posto. Credo. Il peyote, forse…molto buono. Troppo mescal…credo… no, Jan non ha vomitato, Bill, ma tu lo sai che razza di animale è…potrebbe farsi di qualsiasi cosa. L’unica cosa che lo manda in coma è un’overdose di fica bagnata e pompini dodicenni…Fottuto Jan, sempre in piedi… – – Jan, Jan! Ascolta vecchio mio. Te la ricordi l’ultima telefonata cacciafica che hai fatto? Chi ti ha risposto, Jan, te lo ricordi? Una piccola puttanella... avevi detto... una che te la sbatte in faccia anche se non vuoi. E invece, dimmi, invece cos’è successo nobile Jan? Era solo una fottutissima babybalorda. Spaventata. Ma tu avevi i magici spinelli spronapompini... questo lo rammenti, vero? Be’, io e il caro Scott, sai che lui è un vero signore, io e Scott ci siamo seduti. Lui sulla poltrona, io sul divano. Quello pieno di riviste di cinema.

Ricordi? Già, perché lei, da grande, voleva calcare le scene di Hollywood. The shoh must go on, non si sfugge… Bene, allora lei ha queste idee da attricetta, Scott butta lì quattro nomi che ha sentito. “Siamo vecchi amici e lui mi deve molto”, dice Scott parlando di Occhi Grigi Montgomery Cliff, e lei, ovviamente, ci crede, ed è tutto uno sbarrare gli occhi, aprire la bocca quella boccuccia e domande, domande domande. Poi, Serpe Jan, quando vede che l’erba ha fatto il suo bravo dovere, le si accosta. Ci scherza, lei si accosta ancora un po’. I discorsi diventano strani, Jan allunga i tentacoli, usa la dialettica biforcuta per saziarla di mezze promesse e illuderla. Io, be’, se ricordate bene, sono andato un momento a incipriarmi il naso. E dal bagno, dal bagno sento il primo breve urletto: come il trillo del telefono. Le siete addosso in due, con le brache calate e il cazzo duro. Quello lungo e sottile di Jan implora un pompino a due passi dalla giovane boccucia. Tu, Scott, stringi la tua mazza da campione, grossa e scura come la tua faccia, e glielo sfreghi sulle tettine bianche. Ho come la sensazione che babyfatta sia spaventata, leggermente intimidita dalle vostre teste calve. Quando mi fissa negli occhi c’è la voragine, lo stupefacente morte con la tua faccia. Sorpresa totale. Il virus morte ha strada libera. “Mioddio cosa fanno… cosa mi stanno facendo? È troppo grosso, non voglio! sono pazzi… cosa mi fanno? … io non l’ho mai fatto così… non voglio! E quel signore col cappello e gli occhiali, perché non li ferma? … non è come loro... Dio mio, aiuto!” Tutto il mondo che conosce è finito lì, istantaneamente, senza spiegazioni. Le ho restituito il mio sguardo da full di Jack, l’unico per certe occasioni. Lei scappa sopra, prima che tu Jan riesci a schizzarle in faccia. Sono lì, vicino al televisore e vi dico “calma, calma, facciamoci un goccio… lasciate fare a Old Bull”. Vi verso un drink e mi avvio alle scale. Ok? Leggo la vostra mente: lo yage è salito. La raggiungo e la conforto ma lei non si fida e ha ragione perché voi due oldgringos sbronzi nudi, entrate ridendo. Io esco, ormai mi conoscete abbastanza per sapere come la penso. Un lavoro non deve creare problemi, va liscio subito oppure qualcuno ha fatto un errore. Non importa chi. La copertura saltata, il gioco sputtanato. Mancano solo la buoncostume gli agenti Nova e la narcotici. Be’, ragazzi, il mio rapporto è completo. Tocca a voi adesso. A te, Scott JFK. A te, mon ami pompino Jan. Scott guardami. Guarda nel tempo: È LATTIMO IN
CUI MI CHIUDO LA PORTA ALLE SPALLEVOI DUE SOLI, E LEI. LOLITA.
   Cazzooo, Bill, sto male…m’ha preso brutta. Che dose mi hai dato? Vuoi ammazzarmi bastardo! 
   Ti ho forse costretto a qualcosa, bellissimo
Scott? Ti sembra che l’abbia mai fatto…
  Bill, no… scu… scusa, cacchio, Bill, scusa. Non ricordo, non penso nemmeno... non volevo dire…, cioè, davvero, Biiill… Bill… – Pensa al tuo uccello pulsante, cosa volevi farle? Il culo al primo appuntamento? sappiamo quanto ti pace allargare il buchetto grinzoso… Oppure la tenevi ferma e le tappavi il naso, così Jan cazzoaspillo glielo infilava nella mungitrice? Non sarebbe da te?– – Bill, Jan…Jan è vero! L’abbiamo fatto davvero…le ho tappato il naso, tu l’hai picchiata poi l’hai fatta bere…era quasi svenuta. Cristo! Piangeva. Ci ha supplicato. Ha detto che te lo succhiava…che poi dovevamo andare via, che stava arrivando sua madre… Cazzo, Jan, cazzo cazzo cazzo…non mi ricordo, so che tel’ha preso in bocca… non era capace. Ti sei arrabbiato. L’abbiamo tenuta ferma, voleva scappare di nuovo, in quelle condizioni… non stava neppure in piedi... L’ho inculata? –

La scena è nuda, tre uomini nella stanza, Un viaggio nel tempo. Mancano indizi. I volti sono sudati, Bill si è tolto anche gli occhiali. Ha lo sguardo fisso, morto. Viaggia lontano, dentro la casa, su per le scale, oltre la porta. È dentro, a pochi passi da loro. Galleggia leggermente nell’aria, questo sembra infastidirlo un poco. Lei succhia facendo un rumore forte …Vib..vob…vib…vob…ushhh…vib vib vib vob. Scivola veloce sul cazzo di Jan, troppo veloce per Jan. La tiene per i capelli e la costringe a diminuire il ritmo “doucement, doucement”. Scott si fa una sega, lenta, avvicinandolo ipnotico sempre più al retto esposto, rosa di carne.
Dal tunnel carne nero viola cavo orale, odore di mescal e uccello e paura l’urlo sale veloce verso la luce, implode ed erompe e passando sulla lingua sui denti, fuori fuori dalla bocca aperta…spacca le orecchie rizza i peli sulle braccia e avvolge la stanza, diapason dell’orrore rigetta a spruzzi incredulità e animalità e sangue.
   Sei sempre stato un fesso…Scott, bello ma irrimediabilmente fesso – Bill lo fissa mentre squame colorate lo coprono e dalla bocca saetta la lingua biforcuta asciutta rosa caramella. Buchi neri spaziali aspirano la mente di Scott, lo yage è salito… lo yage è salito.
  Burghhs….swashh, – Vomita fuori l’anima carponi sul tappeto inondando la vacca sventrata e le interiora vomito sono vere. – Oddio…– Scott trema nudo sul tappeto steso alle luce azzurra e limpida delle percezioni yage. –Aiuto, checcazzo…Bill…–
Bill rotola fuori dalla sua pelle, la muta è completa. BoaBill si srotola veloce lungo il tappeto, verso Scott gli occhi sangue e allucinati roteano impazziti pianeti di secco universo.
Gli è sopra e allarga la testa rettile e remoto dio lanciata verso la maschera appesa al corpo di Scott. Un lampo azzurro e la voce quieta e professionale di Bill mormora rassicuranti facezie come dandy inglese. Molto Wilde.
   Tutto a posto, Scott, tutto a posto figliolo. Guarda l’azzurro profondo dei miei occhi neri dove tutto è comprensibile, illuminato e saggio. Ricordi Ginsberg? Kerouack…Big Sur… La poesia della risacca e le innumerevoli toccanti parole di Lawrence e la sua Parigi o la pazzia di Neal? Tutto a posto, stiamo viaggiando nella direzione giusta, torniamo da dove siamo venuti…– – Compartimentazione… compartimentaz… sì, ricordo, Bill, ricordo il gioco. Pericoloso. Te lo avevamo detto tutti Oldbull…non si fanno certe cose, ma tu e i tuoi dannati esperimenti…sempre alla ricerca.. Quanto, quando torniamo… cioè davvero indietro? –
    Certe cose non le so nemmeno io,
Scott…via come potrei? Questa è una grande opportunità. Dai, Jan, dammi una mano a sintonizzare Scott. –
  Come cazzo la mettiamo col tempo? che si fotta Scott… eh… comecazzolamettiamo?– – Non la mettiamo e basta, Jan, fidati!
Scott portato a braccia come Cristo al sepolcro.  Sul divano gli occhi opachi stridono col ciuffo JFK. No compriendo, nada senõr, nada de nada… l’assenza dipinta in volto.
“Compartimentazione, è estremamente importante la massima compartimentazione...” echeggia nella memoria… è lì, a portata di mano… la comprensione…quella che Bill chiama LA RISPOSTA. La massima risorsa del guscio uomo lanciato dentro galassie ed eoni, involucro e crisalide senza scopo. Destinazione perduta, “il buon Dio ha smarrito di nuovo la posta…cazzo”.
Di nuovo voci che risuonano per le scale, l’odore della cera sul corrimano… un insulto in spagnolo… scoppio acquoso di donna in pianto, mentre gradino per gradino rotola verso il pianterreno e le biciclette arrugginite e sgonfie.
Odore di ruggine, un lampo, ecco la ragazza dai capelli rossi di quell’estate del ’30. Corre incespicando leggermente, divertente, mentre si svolta a guardarlo e il diaframma scatta metallico nell’aria imprigionando la sua anima… e le lentiggini come una mascherina di carnevale. Eccoli a Coney Island con la sabbia sui corpi bollenti, mentre l’odore lubrificato di olio da sole riempe le narici e poi si sposta veloce scivolando nel vento, ed ecco, è lì che ammanta la battigia, mentre lui abbassa la macchina fotografica, imbarazzato e viola acne dalla vergogna di un gesto così audace… perché il desiderio ha preso la sua vittoria e scivola con leggerezza lungo i fianchi dove s’arrotola il costume bagnato, intoppato dall’erezione e salino lui si masturba nell’ombra fresca di palmizi e spruzza capanni da sole, … Questo il giorno prima… e ora è lì, alto e secco con ginocchia nodose che d’improvviso s’immagina nella ridicola bruttezza adolescente, ma lei sorride e il suo sguardo promette più ancora di quanto una lolita rossa dovrebbe fare in un giorno così, tanti anni prima a Coney Island.
L’eco del pianto ridotto a cantilena sommessa giunge a Bill, l’uomo la insulta di nuovo, a voce più bassa questa volta. Loro tre sono uno accanto all’altro, in fila, appoggiati spalla contro spalla… un mormorio scende dalla bocca di Jan. Bill se la gode tra i due soggetti del suo test. Guarda a lungo i magnetofoni disposti nella stanza dove lui li ha messi, il nastro finito che fruscia secco nella polvere sospesa nell'aria. Il tempo inizia a scorrere di nuovo silenzioso ed efficiente. Gli indizi ora ci sono. Il bottino è buono. Immagini e sensazioni impronta sono chiare a Bill e sovrapponibili alla luce azzurra e sottomarina della profonda comprensione yage. È un gioco quasi nuovo per Mr. Morfina, l’ha provato una volta sola prima, nel retro di una sorta di bazar a Tijuana dove i gringos scelgono i giovani più belli e desiderabili, dove Old Bill testa ogni droga osservando il mercato e il lampo negli occhi dei gringos grassi e sudati. Dove si lecca labbra aride e lingua bruciata dal peyote e il cervello rettile divora ogni dettaglio. 
Si alza dal divano e si avvia verso i nastri che sbattono intermittenti in attesa delle sue mani. La preda è accerchiata, ora si tratta di costruire la trappola e darle un’unica via di uscita.

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È quasi un peccato. La lotta sarà meno interessante. Certo, Bill, devo ammetterlo, è il migliore nel suo genere. Strano, da lui non me l’aspetterei, ma qualche volta fa un passo falso. Esce dal suo territorio, dalle sue competenze. Ironico Bill, sempre ironico e scettico ma interessato. Si destreggia bene con le droghe, anche se ciò prima o poi gli costerà certo qualche fastidiosa dipendenza. Ammetto che l’esperimento gli è riuscito in pieno. Quei fessi di Jan e Scott svuotati come vesciche. Davvero senza ritegno. E così, adesso, lui può iniziare a tagliare e incollare tutto il materiale che ne ha ricavato. Lasciamolo fare. Oltretutto Bill dimentica il suo conticino in sospeso col tempo: la beat generation lo attende, non deve tardare, soffermarsi per strada troppo a lungo, perché sarà celebrato per decenni da masse che invecchieranno con lui e sbiadiranno credendo di essere stati inimitabili fulgidi dèi dello sparo ai limiti della percezione. Se solo sapessero. Bill ha saputo. Esattamente un battito prima della morte. Bill ha compreso e ha sorriso come il vecchio Tio Mate sorride fuori dai suoi racconti. Dove il barbaglio di canne di pistola e i ragazzi selvaggi esplodono in continui orgasmi e orge omicide. Ma il Beat Hotel, Brion Gysin… Be’, addio vecchio Bill. Ora torniamo indietro alla nostra graziosa sfida temporale. Dove ogni astuzia è d’obbligo e l’inganno merce di scambio.
Ecco la scena di lolita. Quando si guarda le budella che le fumano in mano è il pezzo migliore, credo. Pensava di averla fatta franca. Aveva appena seminato quei due fessi in camera da letto ancora a cazzo duro, quando si è accorta di me. Deve avermi preso per Bill, all'inizio. Ha quasi sospirato di sollievo, in fondo in fondo un pochino contava sul buon Bill e i suoi occhiali, il suo feltro anche d’estate. E magari quel lieve aroma d’acqua di colonia da pederasta inglese.
Peccato che non fosse Bill. Un vero peccato mia piccola lolita. Tanti cazzi a disposizione e tu scappi. Non si rifiuta mai del buon sesso, l’ho sempre pensato. Così mi sei cascata proprio in braccio. Guarda caso, seguivo quei tre già da un po’ di giorni. Sapevo che mi avrebbero offerto l’opportunità che cercavo. Svago, per l’appunto. È stato buffo vederti morire bimba mia. Poi, non posso negarlo, l’orgasmo che ha premiato la mia opera è stato unico. Tanto che non godevo così.
Bill deve aver percepito qualcosa. Lui e la sua morfina! Lo rende minerale ma attento, immoto ma acuto.  Se solo non si fosse soffermato così tanto sulla piccola ragnatela tessuta con tanto amore. Se non ne avesse approfondito la geometrica bellezza e apprezzato il perfetto meccanismo, be’, forse mi avrebbe interrotto sul più bello. Ma non è andata così: ho assaporato tutto, fino in fondo. Bendico Hasan-I-Sabbah, mio amante, per avermi creato ed eletto. My Director, il Grande Assassino degli antichi. Se penso al vecchio Don Juan e al suo amico Pablito e a sua figlia.
A quello che Old Bull ha combinato col vecchio yaqui… Adiòs Pablito…

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Le forbici tagliano il sottile nastro traslucido, le lame si muovono in sincrono col pensiero di Bill, centinaia di segmenti trasparenti di nastro adesivo bordeggiano la scrivania di mogano scuro poggiata nella penombra, solo la luce della lampada da tavolo col paralume verde, uguale a quello che si trova a centinaia nelle biblioteche, fotografa l’immagine del paziente lavoro che procede preciso e fluido, privo d’ogni intoppo, automatico. Bill è lo sciamano guidato dalla forza esterna trascendente, in preda al nucleo stesso del tempo e della parola, infettato completamente dal virus, che prende e divide e poi congiunge e così daccapo geometrico e asciutto come i suoi lineamenti. Ogni pezzo al suo posto secondo la logica del caso priva di coniugazioni assente di logiche connessioni, cinque bobine ordinatamente srotolate tagliate e rimescolate dalle mani da medium di Bill con la perenne sigaretta accesa e la tesa del cappello, ora spinta verso il basso che gli oscura il volto.
Lo sguardo azzurro yage si sposta come un metronomo alla massima velocità, di qua e di là, di qua e di là, misurando con la lingua asciutta su labbra secche porzioni spazio temporali e vortici stellari e collassi di sistema e quant’altro la droga apre alla conoscenza.

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Sono gli anni d’oro della generazione beat, Kerouack scrive in una folle settimana d’anfetamina “On The Road” e Corso e Ferlinghetti, la Pivano, parlano continuamente di Gingesberg e con Ginsberg di zen e pace e del futuro che potrà solo essere migliore con l’avvento di una coscienza ampia e assolutoria, benefica. Sono gli anni delle reclusioni e delle disintossicazioni forzate di Burroughs. Bill, lui e le sue strampalate ed esatte idee sul controllo e sul potere, i sogni erotici dei ragazzi selvaggi, dell’infallibile pistola di Tio Mate e di Kim Carson, la terribile logica di potere del dottor Benwey. Tutto quello che non ha ancora buttato su carta è già in lui, un virus in gestazione.
L’idea lo coglie mentre si lenisce l’astinenza con grandi dosi d’oppio canforato e quel giorno, diversamente dalle sue abitudini e convinzioni, vere idiosincrasie a volte, fuma dell’ ottimo hashish in compagnia di Ginsberg e giovani ebbri d’adorazione per lui e la sua poesia e i suoi mantra e il suo uccello e il suo culo. La rivelazione lo colpisce lentamente come una dolce lunga mazzata di gommapiuma al rallentatore. Sono proprio due dei meno giovani e finocchi a ispirarlo, le loro parole sorgono in lui metalliche e sferraglianti rotaie per neuroni al calor bianco. Bill annusa l’aria come un cane da caccia, stanno parlando del tempo ora, dello spazio, di eoni e karma e nuove vite e molteplici ripetizioni d’errori, Bill si fa attento…la coda dritta. Flashback di codici Maya sepolti e del Libro Tibetano dei Morti sepolto anch’esso nella massa dati del cervello di Bill, riaffiorano lentamente dal lago scuro d’oppio e nembutal.
Jan e Scott sono due che proprio nessuno si spiega come siano finito nel branco quel pomeriggio con drogati e omosessuali che scrivono e parlano e rompono le palle con le loro ingegnose “rivoluzionarie” teorie sulla scrittura e la poesia e l’arte in genere, ma anche sesso e politica e manifestazioni di massa, e la caccia della polizia e i depistaggi di Bill… DESTINATO A DIVENTARE GRANDE se solo darà retta ad Allen, il cut-up e i ragazzini arabi che evidentemente gradisce molto, Jan e Scott stessi se lo chiedono all’inizio di quel pomeriggio piatto sulla Lexinton. Solo la parola CACCIA penetra il cervello alcolico di Jan che immediatamente passa al suo argomento preferito LA FICA. Vomita parole e oscenità e ricorda un lombrico come si torce e si stringe la punta del pene mentre racconta del suo gioco preferito, mentre Scott lo guarda sbieco perché ha già sentito quel discorso centociquanta volte almeno e ne ha piene le palle di Martini molto secchi e di Manhattan, perché lui preferisce la Califonia e le lunghe spiagge battute dalla risacca dove un’enorme quantità di fica stupida è a portata di mano, e basta dire: “Ah, ti piacerebbe fare l’attrice?”.
Ma Bill, au contraire di Allen e Gregory e dei piccoli apolli che si guardano “stupefatti” e indignati da quell’intrusione volgare e chiassosa e che soprattutto parla della fica in modo così poco beat, e allora decidono di battere in ritirata in cucina per una birra fresca, mentre Bill è affascinato da quel linguaggio e da quella mente così pulita semplice perfetta incontaminata dall’intelligenza che ha un preciso unico indirizzo, e inizia a dargli corda… Sembra che tu te ne intenda di passera, Jan…– Così OldBull lancia il suo chip.
    Me ne intendo mucho, Bill, puoi credermi sulla parola… mucho, mucho, mucho, poi, qui, c’è il buon Scott che mi deve almeno cento succhia-succhia, dico bene Scott? –
   Dici bene Jan, forse anche diecimila pompini, ti devo… ma quanto caspita la tiri lunga con ‘sta faccenda? Taglia, dai! Per l’amor di dio, ora attaccherai con la solfa del Martini Dry e delle tue telefonate ipnotiche… come le chiami? subliminali? e dove cazzo poi l’hai pescato quel termine lo sai solo tu. E Bill ti dà corda solo per educazione, si vede subito che è un gentlemen… molla il colpo, Jan.
   No, no, prego…Scott, lascia che Jan continui… mi interessa davvero. Le tecniche ipnotiche sono sempre interessanti… mai visto una mantide religiosa al lavoro? C’è parecchio da imparare, credimi… forza Jan racconta il resto s’il vous plait. – Spirali di cobra le vocali modulate da oldboy di Bill.
   Be’, comincia tutto attorno al tavolino di un bar dove sappiano fare un buon cocktail martini, di solito siamo io e Scott… il più grande scopatore assieme a JFK…, a volte mi tiro dietro un’altra spalla ma nessuno è come il vecchio Scott… con le battute argute e hollywoodiane sulla fica che passa per strada, così dopo che ci siamo fatti il primo, tiro fuori la mia monetina preferita. La vuoi vedere? Eccola qui…– Sulla mano di Jan compare un dischetto di metallo ossidato e remoto come un pendaglio Inca o Maya. La mostra a Bill, di sfuggita con un moto liquido mentre nell’aria si spande odore muffo di sudore.
  Jan non ama troppo l’acqua e il sapone…– s’insinua Scott pungente col suo sorriso dai perfetti denti bianchi, rifatti alla grande Holly, quando ancora credeva di poter recitare a pagamento.
    Forse è un gatto – suggerisce Bill con voce languida, proprio come se un gatto fosse l’essere più affascinante della terra, lo sguardo distante pensa al gatto che è in noi. – Forse ama liquidi d’altra natura… non e vero Jan? – Proprio così! L’hai detta giusta come un dito nel culo, Bill. Sei sveglio tu, mica come Scott a volte che pare interessato solo alla Costa Azzurra e allo specchio dove si riflette il suo bel faccino pulito “tanto Grande Gatsby” o ardito tipo Errol Flynn… ehh, eh, eh..eehh.–
     Ritorniamo al gioco che volevi raccontarmi, Jan, se non ti spiace… –
     Be’, sai Bill, è qualcosa più di un gioco. È una battuta di caccia, e il fucile l’abbiamo sempre noi. Prima di tutto occorre molto autocontrollo, niente isterismi o sensi colpa: la parola d’ordine è COMPARTIMENTAZIONE. Certo, perché una cosa è la tua vita e come ti comporti alla luce del sole, come ti conoscono gli altri o come ti vedono, un altro paio di maniche è fare quello che ti interessa davvero. Per sbagliato che sia. Farlo e basta. – Jan parla frenetico e lucido, saggio e maestro, perché questo è il suo campo d’azione. Qui è lui a dettare le regole. – E allora ricorri a una rigorosa compartimentazione… cioè, devi tenere ben separate tutte le cose e agire come se fossi tante persone distinte. Una per il lattaio al mattino, una per Scott, una per gli amici meno simpatici… tante, tante piccole verità. Non balle. Questo è il bello del mio sistema. È infallibile perché occorre soltanto un po’ d’allenamento, idee chiare e VERITÀ, quella di chi sei in quell’istante. Così ho tutte queste mie belle scatole cinesi e al centro, al centro, Bill, c’è il mio uccello. E io con lui. Non esistono menzogne tra di noi. No, niente balle… sappiamo benissimo chi siamo. –
Scott guarda fisso Jan che in piena catalessi continua a macinare vocaboli che non aveva mai usato e sviluppare concetti e guardare di qua e di là con le palline degli occhi impazzite, le mani torte, il sudore sul collo della camicia fin giù nel solco della schiena dritta fino a spezzarsi. Bill si lecca le labbra secche, unico segno di vita assieme a un lieve respiro mentre è lì seduto con le magre gambe accavallate e i piedi intrecciati in una posa impossibile e le mani in grembo come una preghiera. Il flusso di verbi e vocaboli e concezioni si esaurisce di botto: l’argomento è stato esposto in tutta la sua completezza, ritiene Jan, quindi non resta altro da fare che sentire cosa ne pensa il suo nuovo amico: il vecchio Bill.
Mr. Burroughs ha trovato ciò che cercava,
LA RISPOSTA è più vicina adesso. Dovrà solo lavorare un poco su Scott e sorbirsi qualche drink, magari mollerà la morfina per questa operazione, in fondo è ora, la dipendenza è divenuta davvero poco simpatica. Una volta messo fuori Junkies si vedrà, Ginsberg ha detto che conosce della gente che non potrà fare a meno di pubblicare quella roba esplosiva. Bill sorride.
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Gli esperimenti hanno coinvolto totalmente Bill che ora rifiuta telefonate, posta, pugni alla porta, messaggi di Allen e di Corso e Lamantia, anche le furiose proteste del suo pusher cui deve pagare ancora le ultime once che si è iniettato più di due mesi prima. Vede Jan e Scott tutti i giorni. Siedono davanti ai cocktail martini che Scott ordina imperioso a intimiditi camerieri che lo hanno preso certo per un divo di Hollywood in vacanza. Si chiudono per giorni nella stanza archivio di Bill tappezzata di ritagli di giornale e ingombra di schedari e raccoglitori d’ogni tipo e sembra esplodere di carte e fotografie e lui, Bill lo sciamano, li forma e persevera accanito e assente verso il proprio obiettivo. Fino al giorno in cui pronuncia lievemente – Siamo pronti., facciamo un salto nel paese degli attori.–


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È il tardo pomeriggio, sette giorni a Holly e Bill studia attento tutta quell’enorme miriade e mole di persone e spiagge e bar e dati. Il test è stato avviato, tutto procede perfettamente. Jan e Scott si comportano bene, seguono le istruzioni come due marines perché hanno smesso di chiedersi dove voglia arrivare Mr. Burroughs. La coesione c’è, ma qualche volta loro due se la intendono meglio… “…qualche volta Bill sembra un po’ il secchione della classe, quello che va bene in matematica e scienze, eppoi non parla quasi mai di fica, l’hai notato?” e Bill sorride quando li sente di nascosto. Gli sembrano due veri monelli.
Ma lei è in agguato. Aspetta. Ha aspettato a lungo da quel lontano giorno in territorio yaqui. La magia attrae irrimediabilmente Bill e lo spinge di nuovo verso il Messico.
Un’indiana fungosa avanti negli anni che pratica la magia da sempre. Ha parecchi nemici che sa tenere a bada perfettamente. Il Nagual e Don Juan e il vento e il potere... l’erba del diavolo, il peyote, i lunghi esercizi cui si sottopone permettono a Bill di penetrare quel mondo parallelo, inesauribile e mortale. Come ogni cosa quel conta è il modo in cui intendi usarla. Bill vola disteso nel cielo intenso e curvo del Messico e in un lampo è di nuovo a gambe incrociate nella casetta indiana, visioni future saettano negli occhi arrossati, mentre ascolta il vento e le sagge parole dello stregone. Bill deve fare in fretta ad apprendere tutto il possibile perché ha passato la scimmia al vecchio. Si è portato dietro quelle fiale di morfina prese appena dopo il confine senza un vero scopo. Precauzione. Non si è reso conto di quanto è debole la magia di fronte alla chimica, all’algebra del bisogno, così ne parla al vecchio perché vuole sapere se esiste qualche erba o radice o bacca che possa accelerare lo svezzamento da oppiacei.
La grande vena gonfia sembra scoppiare un attimo prima che l’ago la perfori e quando Bill gli svuota dentro la pompetta contagocce vede il flusso che scorre fin dentro la testa del vecchio e ogni capillare è irrorato di morfina e il suo viso si sfoglia nel piacere, mentre dalla bocca esce un gorgoglio stupefatto.
Lei questa faccenda del padre morfinomane non l’ha presa tanto bene, quando glielo vanno a dire i capelli diventano paglia secca e le unghie le forano i palmi delle mani già vizze e dure. Urla e si dimena come demonio in acquasanta e si straccia gli abiti e rimane nuda e vizza sotto la luce implacabile del sole messicano, coi piedi arroventati che artigliano la polvere e la terra e le gambe che scalciano indietro mentre lei alza il collo e ulula, e tutti i suoi dei l’ascoltano. “Stupido gringo” commentano i vecchi e i bambini del paese, “stupido gringo muerto” e la ripetizione è cantilena che cresce e invade spazzando ogni strada morta di polvere rossa, e alzandosi rade tetti e pareti e sbianca le ossa di Bill.
È seduto davanti al vecchio, la valigia di cuoio e cartone bucherellata e stracolma è posata davanti alle sue ginocchia, lo sguardo cerca comprensione nel vuoto smarrito di iridi morte. – Se n’è fatta una di troppo…– dice tra se – credo sia ora di filare… Chapeau. –, aggiunge abbassando la tesa del cappello e afferrando la valigia e uscendo sotto il sole in un solo movimento fluido e ghignante.
Ora soppesa la valigia pensando al suo contenuto e a quello che ha appreso. AU REVOIR
MEXÌCO, ADIÒS JUAN. MERÇI, MUCHAS GRACIAS.


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Luce bruciaocchi sbianca ostile dal cielo a grumi su di lui, sulla città, sparata fuori piatta e asciutta. Nada ombre.
Unico riparo il portico di fronte dove i suoi occhi la inquadrarono, aggrappati al movimento gentile del corpo, all’ondeggiare morbido della gonna.
Scott non ha dimenticato, non lolita. Chiede ancora un giro al cameriere scorbutico, adesso non lo trattano più come un divo di Hollywood. Tutto è cambiato da allora.
Los Angeles ai primi del ’50 sfreccia nella memoria come lampo bruciante d’alcoliche notti al neon: sono loro tre, sempre loro tre, siedono al tavolino come ogni pomeriggio.
Compartimentazione è la parola d’ordine– si ripete – il gioco si chiama CACCIA ALLA FICA… siamo maestri nelle tecniche di depistaggio e mistificazione. Ecco la voce spirale e finocchia di Jan che dice «Ciao, sono io, Jan…» Impossibile resistere.
Il gioco non cambia mai. L’unica opportunità per sfuggire alla caccia è «non essere in casa». Tutto torna alla mente, le parole finocchie di Jan e la grande opportunità di
Bill. Il grande gioco. La domanda è COME MAI QUESTA VOLTA QUALCUNO CI HA FOTTUTI? “Ricorda Scott, the show must go on… go on…” Questo è Bill stesso che gli parla attraverso il tempo e gli vuole dire altro, qualcosa di assolutamente importante. Vitale. Se solo non si fosse concesso quel tris di Martini… “checcazzo, del resto mica si può vivere per sempre…”.
È adesso, nell’istante in cui il suo cervello formula quelle parole che il virus si attiva. Mai sottovalutare un virus-morte latente, specie quando una strega ce l’ha con i tuoi amici e ora che tu sei il più debole certamente colpirà te. Troverà il morbido non la durezza affilata della mente di Bill, o quella coatta di Jan che pensa solo alla fica e chissà dove sarà mai finito dopo tanti anni.
La strada è dipinta da Van Gogh, tipicamente sferica e malata. Corti tratti di colore arancio avvolgono Scott mentre il fegato gli scoppia con un plop vischioso e liquido e vomita sangue e alcol e bile, così lascia una bava di lumaca trascinando il corpo già morto lungo l’asfalto ruvido e caldo fino ai piedi di lei, e quando alza il viso freddo lo sguardo non incontra né chignon né l’ondeggiare morbido della gonna, ma la bocca sdentata e orrida e rossa di strega che si prende una piccola parte di vendetta.


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Bill l’aveva previsto, del resto Scott era stato avvisato chiaramente. È ora di mettersi alla ricerca di Jan, dannato scopatore che chissà dove s’è imboscato a farsi spompinare. Si tratta di trovare la prima traccia, bisogna cercare indietro nel tempo e nella polvere sospesa nell’aria di quel pomeriggio quando Bill scoprì di essere caduto in una trappola temporale e raccolse la sfida. Qualcosa gli è accaduta sotto gli occhi stretti dalla morfina, c’è una tela di ragno e la sua perfezione assoluta di trappola mortale, scende le scale con una netta sensazione verde sottomarina e si siede in salotto accavallando le gambe e accende una sigaretta, in attesa di riemergere. Poi dalle scale ruzzolano Jan e Scott entrambi nudi a cazzo duro urlando e ridendo. In un flash Bill vede la scena e se stesso dall'alto e riassaggia l’erba del diavolo e il vecchio indiano morto, gli occhi scivolano sul tappeto e lì Bill percepisce il crepitio dell’aria e l’odore d’ozono e guarda i corpuscoli sospesi nella luce del pomeriggio vibrare, quasi gli parlassero. Sente il tempo schioccare secco e bloccarsi con uno stop che per poco non lo fa cadere in avanti, sparato fuori dalla poltrona attraverso la scena impressa nei suoi occhi interrogativi e capisce che LEI È ARRIVATA, E NON È SOLA. Qualcosa succede, invisibile


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Ritornare nell'appartamento attraverso fotografie e lampi di magnesio della polizia dalla grana quasi seppia, ascoltando i fatti venir fuori e dal nastro magnetico incollato mille volte in piccole porzioni temporali: la macchina della verità di Mr. Burroughs, il Grande Cut-Up. L’opera che né Allen né Jack e nessuno tranne lui ha mai ascoltato. La morbida macchina del tempo riflesso negli occhi ciechi di quel giorno indelebile impronta mnemonica.
L’appartamento è nella penombra artificiale di lampada da biblioteca che tanti anni fa Bill ruba e scambia con una dose, ora è chino nel cono giallo di luce mentre le sue mani attente lavorano al magnetofono e arrotolano il Grande Nastro nella bobina nera e fredda come la 45 che Bill ha tolto dal nodoso cassetto centrale.
Il nastro scorre srotolando scene nude percepibili dall'apparato sensoriale che Bill ha sviluppato in quel mucchio di tempo sottratto alle blandizie letterarie e artistiche di Ginsberg e Kerouac e i tanti che credono che lui sia uno scrittore mentre Bill si considera come la sua Leica Zeiss e non è mai riuscito a dissuaderli neppure quando era mezzo morto a Tangeri e loro si erano precipitati a salvare il Grande Genio della Letteratura Beat.
Ogni cosa ripassa negli occhi memoria di Bill e lui è lì con la sigaretta penzolante che fuma all'angolo della bocca piegata nella smorfia distorta del tempo. Una mano posata su un vecchio libro consunto e macchiato che una volta doveva essere finemente decorato sfoglia pagine muovendosi a scatti di cavalletta. “… the ancient Egyptians postulated seven souls. Top soul, and the first to leave at the moment of the dead, is Ren, the Secret Name. This corresponds to my Director.” Il fiume scorre davanti a Siddartha, la rosa muore e quel giorno che siamo andati a pescare e il ragazzo dai capelli rossi mi ha toccato, ho toccato il volto morto di moglie forato dalla mia 45, Johnny 23 e il vecchio Ducht Schultz e tutte le cose che ho fatto e detto, quanta morfina e quel bravo dottor Dent a Londra che ha svezzato il mio corpo, quell'odioso scroccone di Neal, la mia sedia a dondolo dove cullavo New Orleans, Brion e il Beat Hotel e quella volta che… – parole mangiate dal ricordo echeggiano ectoplasmi dagli occhi sbarrati di Bill mentre la cenere morta cade sulla camicia impeccabile.
L’attimo della sua morte sfogliato come lo scorrere veloce di pagine di taccuino... gli egiziani hanno ancora qualcosa da dirgli.
Lei è davanti a lui, le gambe oscene aperte e robuste e scure attaccate al corto busto tozzo e sgraziato, quasi gobbo dal dolore di quella vita di strega, e ride ragliando e scuotendo la testa irta di sterpi secchi e di vento della mesa.
Compare lì dove un attimo prima c’è la scrivania col lavoro di Bill ordinatamente sparso che attende di essere riletto e riascoltato l’ennesima volta, senza fare una grinza ecco la voce nasale e monotona del Grande Beat lasciar andare nenie magiche imparate nel lato scuro. Sorride ora l’indiana come sorrideva suo padre in preda al piacere della morfina, freme e si agita poi mugola piano e poi sempre più forte come un’ondata d’orgasmo. Odore di sesso bagnato si allarga come inchiostro muschioso e aderisce alla stanza e a Bill immoto sciamano sulle lunghe gambe secche.
Il tempo implode con uno schiocco di risucchio che ingoia la stanza e Bill e la yaqui e quella giovane pallida lolita aperta e sventrata che un giorno risponde al telefono e dall'altra parte c’è la finocchia voce spirale di Jan che l’avvolge e la turba e le fa dire di sì, che si possono vedere alle cinque perché poi alle sette torna sua madre e allora poi sono guai….


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Cantilene arabe si levano in resine fumanti da rilucenti haschâschis che si strofinano reciproci e lascivi distruttori figliati in copule rettali dal Vecchio della Montagna, Hasan I Sabbah, invisibile Signore degli Assassini, incastonato opale nero nella fortezza montagna di Alamout dove la breccia temporale creata dalla yaqui gli sbatte in faccia una ripugnante zaffata di donna, mentre sudore e umori e mucillagini mettono fuori uso il suo apparato protettivo e per un attimo Hasan-I-Sabbah vacilla davanti a un potere forte quasi come il suo.
Ciò che la femmina gli chiede non è poi gran cosa rispetto al compenso che gli sarà dato.
 Old Bull ha rotto le uova nere nel paniere di troppe persone scrivendo quello che nessuno doveva sapere e s’è dilungato in un pericoloso saccheggio di conoscenza, troppo spesso citando Hasan-I-Sabbah e i suoi ragazzi cattivi. Così il Vecchio accetta l’accordo yaqui suonando tutto di denti traballanti cui l’eco muffoso e indiano s’associa. 
Hasan-I-Sabbah le fornirà la copertura temporale necessaria alla missione e il suo assassino diletto, perfido ibrido che ama sventrare lucertole e quant'altro capiti a tiro dei suoi occhi a fessura nel tempo immoto della montagna. Forte di un’educazione omicida sublime ama spesso citare brani di Ellroy fruttatigli dalle incursioni spazio tempo che il Vecchio Amante Padre gli ha affidato. “Questo nuovo incarico mi piace…” soffia in viso al VAP con la mano allungata a massaggiargli il pene, piano, dalla base alla punta e soppesando lo scroto vizzo per un attimo quasi a saggiarne l’invecchiamento e nuovi orgasmi lunghi ed esperti.
“Non fa nessuna differenza… dovrai agire e pensare come uno dei tuoi deviati assassini di carta che sfogli ogni notte… quando pensi che io sia addormentato” detta piatto ma lubrico HIS, “Ricordi le lucertole? Fammi una cosa sul quel canovaccio… non improvvisare, entra nella parte come in una nuova pelle, se sai cosa intendo… penetrala fino in fondo, il depistaggio dev'essere invisibile agli occhi poker dell’Hombre Invisibile Mr. William S. Burroughs… beat master.” E con la propria mano stringe quella giovane e affusolata e esperta sul pene inturgidito sotto la tunica, “Non deludermi, ragazzo.. e non innamorarti, Old Bill ha un suo fascino”.

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Jan ci prova ancora con un movimento quasi impercettibile scivola verso il retto leggermente aperto della sua ultima conquista giovane aspirante modella, o meglio ancora, attrice, agganciata al bar dopo aver appena toccato il secondo Martini. La mano ferma lo blocca ancora una volta.
Ti ho già detto che non voglio… non
insistere…– cinguetta irritata ma sicura la vocetta poco addomesticata dai lunghi esercizi di dizione che ostina due volte la settimana. Bimba mia, stellina… è una cosa che fa parte dell’amore, naturale, lo si fa da sempre… lo fanno tutti , eppoi mica ti faccio male, checcredi, non te accorgerai neanche e poi mi sarai molto grata, grata perché ti ho aperto nuovi orizzonti…, honey.
La nuova stellina del firmamento di Jan tira ancora indietro, è piuttosto determinata, prova anche a distrarlo chinandosi sul suo uccello sottile e iniziando a succhiarlo e a leccarlo mentre con la mano delicatamente gli solletica lo scroto in un lavoro davvero ben fatto, peccato che quando Jan s’è messo in testa una cosa non ci sia niente da fare e così ancora si sputa su indice e medio e aggirandole testa e spalle scende giù fino al buchetto ora più aperto perché per succhiarglielo meglio lei si è rannicchiata scoprendo totalmente il bersaglio. Prima che possa fare qualcosa il moto circolare e spirale delle dita penetra il piccolo gorgo rosa e spinge pian piano più giù lungo il retto che si contrae e si distende palpitante parete morbida ed elastica, ecco allora che lei smette di succhiare, in attesa, allarmata ma curiosa del nuovo piacere che sente montarle dal centro dell’ipotalamo e sparar fuori scintille in nucleo nervoso al centro del retto. Old Jan ha colpito ancora. Un altro centro perfetto. Se la incula per una buona oretta e lei viene disperatamente naufraga nella tempesta con ansiti e mugugni di piacere animale e sbatte la testa su e giù e continua a dire “ancora”. “Un vero pezzo unico”, pensa Jan illuminato dall'idea di Scott e dei succhia-succhia di una volta, ai vecchi tempi di Los Angeles e del vecchio Bill, coi suoi folli esperimenti, che chissà dove saranno finiti quei due dopo tanto tempo. Dopo quella cosa. A proposito di quella cosa… il pelo si drizza e lo sguardo già morto cade sul suo pene infilato nelle grasse chiappe muffose di una vecchia strega e solo un attimo dopo sono quelle sode e lisce e muscolose di un giovane arabo che spruzza il suo orgasmo scalciando e solleva la testa buttando il lungo ciuffo corvino di lato e scoprendo sottili occhi d’assassino sorridenti. Tra i denti splendidi e felini ammicca un lungo stiletto antico usato molte volte con piacere, un lato affilatissimo che potrebbe squartare una vacca e la punta forare l’orbita più  minuta.
Il metallo lo apre lento e preciso dall'ombelico alla gola mentre lo spasmo e la tensione incontenibile dell’orgasmo in arrivo contrae in convulse espulsioni d’interiore il corpo bianco di Jan ed ecco Moby Dick immersa balena nel proprio sangue più salato del mare. Uno sguardo più asciutto della sabbia si compiace.
Un altro punto per Hasan-I-Sabbah e la sua orrida complice yaqui. Ora tocca a Bill regolare il conto.


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Utilizzare un’arma virale della massima efficienza e di effetto paralizzante sul tempo.
Il virus per eccellenza, la parola. L’arma che usa meglio della pistola. L’agente invisibile più mortale di qualunque proiettile.
Bill rivede l’immagine squarciata di Jan legato al letto dal suo stesso intestino e immerso nel denso blu arterioso. Larve e mosche vibrano brulicando piacere.
A terra piccole impronte di piedi scalzi. Una femmina o un ragazzo? Un assassino. Hasan-I Sabbah, certo, non esiste dubbio sul mandante. Il vero movente ancora sfugge, affiora e scompare nuovamente nella mente di Mr. Morfina. 

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