Addio alle Armi

E questa meravigliosa malinconia da Jaguarmatic e Tigermatic che come una nebbia struggente mi assedia ora, come allora avvolgeva fredda e bagnata i Giardini Margherita e la Fossa Cavallina con i suoi grandi e scricchiolanti e misteriosi capanni delle colonie estive e la piscina colma delle foglie morte di quella stagione che fu l’ultima, l’ultima in cui corremmo davvero liberi noi tutti, Andrea e Luca, io e Vittorio, Pilli e Curi ed Eraldo; lui che sulle lunghe gambe ossute ci superava tutti correndo come il grande Lewis, lui che come noi era inseguito da un omarino grosso e rubizzo che ci aveva spiati in modo losco e allora gli avevamo gridato “busone!” per poi scagliargli addosso una  veloce e spietata raffica di pigne, e lui, mi pare ancora di vederlo, Eraldo detto Ciccio o il Negro, col suo "bulbo" africano spinto all'indietro dal vento, alto e magro e ricciuto nella dolce assolata estate precedente a che tutto accadesse.

E Andrea col suo improbabile pellicciotto beat, bianco, di pecora sintetica, già allora con un’ombra di barba, Andrea, basso ma forte e scattante e incredibilmente muscolare come un piccolo Apollo; lui che sempre era stato il più vissuto e grande di noi e ci insegnava ridendo e fumando cos'era una "pippa", lui che somigliava a Dustin Hoffman e Al Pacino e che senza finire le scuole medie ne sapeva più di tutti noi della vita, lui che col suo enorme fallo adolescente era già divenuto la leggendaria preda delle piccole donne delle medie Rolandino De’ Passaggeri, dove Lucio Dalla con la sua Ducati Scrambler gialla e cromo rimorchiava prostituti adolescenti affamati di jeans NewMan e Lacoste e Ray-Ban, che si vendevano a volte anche solo per un pacchetto di sigarette così come fece anche Golinelli che una manciata di anni dopo ritrovai al Pratello dov’ero ingabbiato per essere "un fascio" e aver osato fare volantinaggio nella rossa Reggio Emilia, e lì nei bagni torbidi, scivolosi e puzzolenti, mi coprì perché non fossi accoltellato nelle docce; e ricordo.

Sì, ricordo bene come se fosse ora che in quel dicembre profondo e freddo e noi, fiammanti e vividi ed esaltati dalle nostre pistole plastiche e infallibili che stringevamo nel pugno, e sorrido rivendendoci mentre ci uccidevano al grido “sei morto, ti ho colpito!”, e lo gridavi forte oltre il vento che sibilava “ti ho colpito!, ti ho colpito!, sei morto!” e allora, se eri d’accordo nell'aver ricevuto il colpo fatale, ti gettavi a terra rotolan­doti in una morte spettacolare e gloriosa di cui soltanto i bambini sanno morire.

E fu l’ultimo inverno con le narici bruciate dal freddo glaciale che seccava anche il muco in lunghe candele polari, quello, in cui ci rincorremmo nella stagione ultima dei giochi da bambini prima ancora che quello della bottiglia dispensasse i primi baci, mentre fumavamo le prime sigarette atteggiandoci in pose cinematografiche anche se montavamo minuscole biciclette King's Cross o buffe Graziella con sella allungata; fu l’ultima carezza lieve di fanciullezza a baciare i nostri volti prima che una lunga e spietata partita distribuisse i cuori e le picche e i tanti, troppi, fiori colpendoci con le sue spine avvelenate,  dividendoci in sparuti gruppi di assaggiatori di vita; prima che ci perdessimo e cadessimo tutti, tranne i morti e i morituri, nella dolorosa trappola della crescita.

Fu l’addio alle armi di plastica e alle estati e all'erba calda e profumata. Poi diventammo tutti soli, per sempre.

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