Perché troppo a lungo si rimane morti

   

Quanto ho amato a volte la mia bella e libera povertà, come mi sono sentito vivo e senza paura in quei giorni così rari e tanto cari, e che ora appaiono lontani e stranieri.

    Quant'era stupefacente, divertente e faticoso passare da una lingua all'altra, mischiarne gli aggettivi e crearne di nuovi, pensare con profondità e lucidità nuove ed aliene. Quanto a fondo potevo trarre respiri e riempire i polmoni! 

Quante boccate nuove e pulite di aria straniera, e poi camminare mille e mille passi instancabili lungo strade e marciapiedi sbeccati di calles y avenidas lontane da tutto, lontano da me stesso.

    E pensare tra me e me, eccitato come un ragazzino, che avrei voluto che le mie ossa riposassero lì un giorno ormai non lontano, lì, sì, in terra straniera, oltreoceano, lontano diecimila miglia da dove venni partorito.
     Perché morire è definitivamente straniero ed estraneo.
    Morire è un linguaggio sconosciuto e traballante che non potrai mai apprendere. Una parola vuota.
    Una lettera muta.
    Un'assenza lunghissima.
    Morire una morte lontana, sì, per me era quello l'unico modo di morire senza troppa paura, senza l'orrore dell'orrore nostrano. 
    Morire senza una madre, sì, ma in seno a una nuova amica.

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