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Ricordi della cucina di mamma

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Spaghetti rotti in brodo Quadrucci in brodo fatti in casa con piselli e cubetti di prosciutto  Riso in densa acqua di riso al limone Riso al latte (piaceva al babbo, a me faceva orrore) Palline in brodo, le mangiavano anche crude; io le rubavo dalla dispensa, erano confezionate in un sacchetto di plastica lungo Zuppa imperiale Coppette di tonno e besciamella al forno, facevano la crosticina Panzarotti che solo tu sapevi fare così Strudel di carne e formaggio, dio mio, che follia! Polpettone con uova sode e olive, unico al  mondo Vol-au-vent Quiche lorraine che nemmeno un marsigliese come il babbo si era mai sognato E tante cose buonissime come te, che mi manchi sempre più. A presto mamma, preparami qualcosa che arrivo anch'io. Sono così stanco e ho tanta fame.

Quando i ricordi dovevano ancora accadere

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Quando nostro padre ci portava alla Storm, assieme alla mamma, per comprarci i primi abiti confezionati. Lo ricordi? Completino uguali per entrambi noi fratelli più piccoli. E quella bottega di calzature, Alla Fabbrica, nella piazzetta vicina alle piazzetta delle Poste    all’angolo con via Castiglione, dove ci comperava improbabili sandali con gli occhietti e lì ci regalavano quei piccoli razzi di plastica con la punta di ferro sulla quale poi infilavi i SuperBum, e li tiravi e loro cadevano sempre di punta con bello scoppio? E il babbo ce li lasciava usare anche in casa a volte. Oppure le spedizioni punitive alla bottega di quei due anziani barbieri dove imploravamo per ogni centimetro di capelli a basetta? Ricordi?

Ragazzi Selvaggi, Sogni febbrili di violenta innocenza.

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Abbozzando il progetto per una utopica Accademia, William Burroughs, che disprezzava l’insegnamento così com’era impartito nelle università americane, accennò all’idea di introdurre nelle aule una scrittura geroglifica semplificata: «Lo scopo è il decondizionamento delle reazioni verbali automatiche tramite l’insegnamento a pensare per immagini. Lo studente impara a guardare prima di parlare. Quando si sarà appreso a usare le parole invece di essere usati da esse, diventerà facile dominare ogni altra materia». Per l’autore del  Pasto nudo  il linguaggio non era un codice naturale, né un amnio avvolgente e neppure era l’aria condivisa in cui ci muoviamo tutti costruendo il senso, ma un avversario subdolo da disarticolare e abbattere. Un virus che trova un punto di equilibrio con l’organismo che ha invaso e il cui unico scopo è l’autoreplicazione di se stesso, trascinando l’uomo in un gelido ingranaggio di risposte automatiche. Tra il 1967 e il ’69, a Tangeri e a Londra, Burroughs scriss

SIFONE INNAMORATO

       Lo chiamarono così perché fu la prima parola che disse. "Scifone" per l'esattezza.   Aveva già tre anni e tutti pensavano fosse ritardato.       Ma ci aveva i suoi tempi, Sifone. Mica potevi mettergli fretta a quel topo là. Un bel tipo, lui, soprattutto quando crebbe un pochino, il Sifone.       A nove anni era piccolino e segaligno, ma svelto come un demonio. Altroché fallato, era tutto d'un pezzo quel birichino.       Arrivava all'improvviso e aveva sempre qualche graffio e le mani sporche di nero. Sifone.       Sifone spuntava dal nulla. E poi era già li che parlava a segno, sparando raffiche di vocali e di consonanti, qualunque fosse l'argomento del dibattito.       E a scuola faceva uguale. La maestra non lo trovava mai quando in classe lo cercava con lo sguardo. Allora lo chiamava strillando secca - Rispondi Sifone! E lui - Mi dica, signora maestra!      Rispondeva lui puntuale e tranquillo dal suo posto.       Sifone era un

Coitus ininterruptus

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La morte è un organismo parassita e opportunista.  Nelle foto vengo mosso anche se sto fermo. Non puoi pretendere la profondità da un pozzanghera Un silenzio solido mi avvolgeva. AAA . Cerco donna senz'anima per gemellaggio con mio spirito vacante. Offro Crociera per due assenti in classe    inesistente. “Sentirsi una porta sul nulla.”. Un sole pallido intonacava i muri sporchi. Un gatto male in arnese ne grattava la superficie senza molta convinzione. Pomeriggio tardi al Barrio Chino; si affretta verso la stazione sulle gambe incerte di malinconia. Si sente come il gatto. Può solo graffiare un raggio di luce prima che la solitudine graffi lui. Nello sguardo artico e ventoso, il ghiaccio vortica attorno a quegli occhi di ciclone.   Riavvolse lo sguardo panoramico e zoomò sul suo collo bianco e perfetto.  Era morta. Negli occhi non aveva niente. Ci sono persone con così poca personalità che sono gli abiti a indossare loro. Non puoi pretendere la profondità da un pozzanghera Un silen

In loving memory

 

Out of me

 

Alternative OpenPlanet

 

L’amore e la morte al tempo dei Gaznevada

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           Eravamo vivi, eravamo giovani, non volevamo cambiare lo status quo, volevamo cancellarlo. Eravamo amici ed eravamo colmi di stupore e interesse per la vita, la vita che non fosse quella dei nostri padri. Eravamo affamati ed eravamo pazzi. Doveva essere a cavallo tra il settantasette e il settantanove, a Londra era da poco esploso il punk. L’aria vibrava. Il selciato era infiammato. E noi eravamo pronti a bruciare. Eravamo Max  il biondo , Robby  Robs , io,  il Bandito,  Test detto  Chiodo  e un pugno di altri amici amati tra i tantissimi fratelli di furia. Tra noi c’erano dei grandi e c’erano dei bastardi. Fummo spavaldi e fummo disperati fino alle estreme conseguenze; alcuni di noi morirono subito, spazzati via nel giro di un paio di anni.  Pagammo t utti un prezzo altissimo. Tra i più ricordi intimi di quegli anni, a parte Il Biondo che era quasi più di un fratello, oggi il mio pensiero corre a quella nostra sgangherata banda in continuo fiorire e morire; rammento

Dispensa papale

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Frigo vuoto. Credenza in bilico. Dispensa papale. Spaghetti e ancora spaghetti. Condimento zero. Ma, attenzione. Un fondo di yogurt bianco (razzismo alimentare), un barattolo di senape destinata a uso dubbio (non ricordo di averlo comprato), pepe nero (per equilibrarmi nel politicamente corretto), tanto. E poi, peperoncino (i cinesi sono il futuro). Cuoc(io) gli spaghetti. Condisco a fantasia, mica come Monti che "confisco" quello che mi pare . Mischio con forza ed entusiasmo eccessivi. Guardo. Annuso. Sa di buono. Seratona fatta. Domani si presentano delle ideone a un grosso cliente. Un culo enorme. Se digerisco, se sopravvivo, se mi sveglio, se vado in agenzia. Beh. Sarà una giornata di svolta per la mia alimentazione. Cred o.

Racconto d’autunno - Once Upon a Time

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ONCE          Bologna fine anni settanta; sbuffi di vapore e cappotti rigidi dal freddo ci accompagnano per via Rialto, usciamo nella luce di quel dicembre pomeriggio e ci sorridiamo intirizziti, abbiamo voglia di baciarci ma prima fumeremo una sigaretta, sì, ci faremo pungere il naso da quel fumo acre che crea un’atmosfera carboneria metropolitana.           Quanto potevamo avere, tredici, quattordici anni? Non lo sapremo mai, il ricordo è indistinto come la nebbia dei quei giorni padani vissuti sotto il conforto dei portici; il sottile filo si spezza e quel mondo scompare all'improvviso tra un cinema e un biliardo e i Giardini Margherita che si riavvolgono alla moviola, con il batticuore per il gioco della bottiglia e le notturne magie d’amore di Battisti nelle sue prime apparizioni su TeleCapo- distria che m'implodono nel petto. UPON           Sono passati solo cinque anni dai tempi del Rialto e ogni cosa è cambiata; eccomi che cammino in fretta e furia contorcendomi e rabb

Viaggio al centro della Notte

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La notte è il mio territorio. Lo è sempre stato. La zona d’ombra dentro me che confina col buio nel quale brillano le stelle. Là, dove altri esseri insonni cercano conforto da sé stessi, dall’ incessante farneticazione della mente.  Quel luogo del tempo dove fornai e operai del turno di notte vorrebbero dormire, lasciarsi andare al sonno senza sogno. Lì, nell’interregno, si respira un’aria silenziosa rotta soltanto dal rombo di qualche auto diretta chissà dove e dagli autobus nei quali viaggiano gli operai della notte. Un mondo sospeso tra ieri e domani. In attesa della luce, del sincopato cinguettio degli uccelli che si parlano, che si cercano e si amano per brevi momenti. La notte è un teatro di posa dove fotogrammi dalla grana grigia d’immagini sfocate prendono vita, si s’inseguono e si scontrano senza soluzione di continuità; stridendo si accavallano e svaniscono. Gli abitanti del buio sono tanti; gli adoratori di lune cangianti, gli eredi di stelle pulsanti, hanno in comune sommes

Addio alle Armi

E questa meravigliosa malinconia da Jaguarmatic e Tigermatic che come una nebbia struggente mi assedia ora, come allora avvolgeva fredda e bagnata i Giardini Margherita e la Fossa Cavallina con i suoi grandi e scricchiolanti e misteriosi capanni delle colonie estive e la piscina colma delle foglie morte di quella stagione che fu l’ultima, l’ultima in cui corremmo davvero liberi noi tutti, Andrea e Luca, io e Vittorio, Pilli e Curi ed Eraldo; lui che sulle lunghe gambe ossute ci superava tutti correndo come il grande Lewis, lui che come noi era inseguito da un omarino grosso e rubizzo che ci aveva spiati in modo losco e allora gli avevamo gridato “busone!” per poi scagliargli addosso una  veloce e spietata raffica di pigne, e lui, mi pare ancora di vederlo, Eraldo detto Ciccio o il Negro, col suo "bulbo" africano spinto all'indietro dal vento, alto e magro e ricciuto nella dolce assolata estate precedente a che tutto accadesse. E Andrea col suo improbabile pellicciotto bea

Perché troppo a lungo si rimane morti

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    Quanto ho amato a volte la mia bella e libera povertà, come mi sono sentito vivo e senza paura in quei giorni così rari e tanto cari, e che ora appaiono lontani e stranieri.     Quant'era stupefacente, divertente e faticoso passare da una lingua all'altra, mischiarne gli aggettivi e crearne di nuovi, pensare con profondità e lucidità nuove ed aliene. Quanto a fondo potevo trarre respiri e riempire i polmoni!  Quante boccate nuove e pulite di aria straniera, e poi camminare mille e mille passi instancabili lungo strade e marciapiedi sbeccati di calles y avenidas lontane da tutto, lontano da me stesso.     E pensare tra me e me, eccitato come un ragazzino, che avrei voluto che le mie ossa riposassero lì un giorno ormai non lontano, lì, sì, in terra straniera, oltreoceano, lontano diecimila miglia da dove venni partorito.      Perché morire è definitivamente straniero ed estraneo.     Morire è un linguaggio sconosciuto e traballante che non potrai mai apprendere. Una parol